Eccoci qui, a settembre le scuole hanno aperto, alcune prima e altre dopo, ed ora… stiamo come stiamo.
Sono arrabbiata.
Sento ambulanze che passano a sirene spiegate, sempre più frequenti, e mi chiedo perché siamo dovuti piombare di nuovo in questo baratro.
Quest’estate lo dicevo, l’ho detto mille e più volte, discutendo con varie persone: riaprire la scuola sarebbe stato rischioso.
Mi hanno aggredita, dicevano che la scuola è importante per tutti, alunni e famiglie, che è il luogo dove si sviluppano i rapporti sociali, che se si fermava la scuola le famiglie non avrebbero saputo come fare, che se alcuni docenti non avevano voglia di lavorare si potevano anche licenziare poiché c’è la fila per occupare il loro posto. Mi hanno detto questo ed altro ancora, ma… non hanno ascoltato.
Ad agosto, riflettendo sulla situazione, pensavo che il grande movimento che comporta l’apertura delle scuole si sarebbe dovuto evitare, le uniche eccezioni, se fosse stato possibile metterle in atto senza rischi, si sarebbero potute applicare o per gli alunni delle prime classi di ogni ordine, visto che si sarebbero trovati ad affrontare una nuova esperienza senza conoscere né compagni né insegnati, oppure per gli studenti i cui corsi di studio prevedono attività laboratoriali propedeutiche al percorso scelto. Ho detto “oppure” perché non credo sarebbe stato saggio coinvolgere da subito entrambi i gruppi, perché poi ci sono anche altri studenti che a mio parere avrebbero dovuto cominciare in presenza: i disabili, ma qui il discorso è più complesso. Parlare di tutte le classi nelle quali è presente un disabile significa considerarne troppe, quindi su questo bisognava di certo trovare una soluzione, che poteva andare dai piccoli gruppi misti fino, nel caso estremo, ai gruppi differenziali. Ipotesi, sulle quali però c’era da ragionare bene.
Ma il mio pensiero è che non si doveva aprire a tutti gli studenti, perché credo che quello che adesso sta capitando era prevedibile.
Certo, si sacrificava la socialità degli alunni, ma non l’istruzione, perché la soluzione alternativa esiste, è la didattica a distanza che, posso assicurarlo, per i docenti è molto più impegnativa sia in termini di impegno, sia di lavoro, sia di tempo che viene investito.
Pensare di cominciare in DaD, a mio parere, sarebbe stata semplicemente una tutela per tutti e, poiché già da metà agosto direi che un campanello di allarme si stava facendo sentire, ci sarebbe stata l’opportunità di prendere tempo per verificare gli sviluppi in relazione ai quali si poteva pensare di riaprire a gennaio oppure, se fosse stato necessario, temporeggiare ancora.
Tenere chiuse le scuole, e quindi ridurre il numero di persone che devono spostarsi, sarebbe stata una scelta a tutela di tutti. Sui piatti della bilancia c’erano da una parte la socialità, non la didattica e l’istruzione, degli allievi, dall’altra le attività produttive, i piccoli negozi, che avrebbero potuto continuare nel loro lavoro. Certo avrebbero dovuto accontentarsi poiché avrebbero dovuto comunque attenersi a regole di sicurezza e ridurre gli introiti, ma sicuramente avrebbero rischiato meno di quanto poi effettivamente hanno rischiato, ed è probabile che la minore circolazione di persone sarebbe stata utile a scongiurare l’aumento di contagi e si sarebbero potute porre le basi per prospettive future migliori.
La scelta di aprire le scuole è stata appoggiata da molti, primi tra tutti i genitori, che comunque sono anche lavoratori.
Ma aprire le scuole ha permesso al virus di girare, diffondersi, moltiplicarsi; ora si corre ai ripari con chiusure parziali, orari ridotti, coprifuoco, tutte cose che, facendo altre scelte, molto probabilmente si sarebbero potute evitare. Invece ora sono necessarie, perché la situazione si aggrava.
Ed ecco che il rischio di fallimenti aumenta, le persone, anche quelle che hanno caldeggiato l’apertura delle scuole, rischiano di perdere il lavoro, di chiudere le loro attività, e se la prendono con chi ha preso decisioni all’inizio da loro stesse, in fondo, condivise.
Il problema non è solo nelle disposizioni di orari ridotti o chiusure temporanee, il problema è anche nel fatto che, seppure le disposizioni fossero meno rigide, probabilmente non ci sarebbe molta gente disposta a spendere, perché a causa della situazione critica, è necessario fare scelte, dare priorità ai bisogni essenziali.
La situazione è critica, appunto, ma la crisi non è lontana da quella che deriverebbe da una chiusura totale, a cui l’Italia e gli italiani non sarebbero in grado di reggere.
E tutto questo, forse, perché ci si è ostinati a non lasciare studiare a casa studenti e studentesse.
Mts©