Maria Teresa Sica

Scuola ed élite del team

Scuola è educazione, scuola è istruzione, scuola è condivisione. La scuola: il luogo in cui fare esperienza, in cui bisogna imparare a esprimere se stessi, la scuola è libertà, è migliorare le proprie capacità.

E invece no. La scuola non è niente di tutto questo. L’hanno trasformata in un campo, a mio parere, “chiuso”, dove gli alunni sono messi tutti in cassettini ordinati e schematizzati e i docenti si devono conformare, adeguare… “accordare”.

E via con le programmazioni uguali per tutti, con le prove di verifica concordate e standardizzate le quali, ovviamente, dovrebbero essere strutturate in base a requisiti minimi, perché altrimenti non si tiene conto, non si favorisce e anzi si rischia di danneggiare, anche chi ha un rendimento inferiore.

Via con i team di lavoro, le funzioni strumentali, le persone deputate a specifiche funzioni.

Tutti gli altri seguono, devono seguire le indicazioni, le proposte, le iniziative, che sì, vengono liberate, ma in effetti le delibere non sono poi tanto “libere”, perché se qualcuno propone un qualsiasi progetto che viene approvato a maggioranza, chi non lo approva si deve adeguare, e spesso chi lo approva lo fa quasi per quieto vivere. E soprattutto spesso le informazioni date all’atto della delibera sono ambigue, così che molti, in buona fede si trovano ad aver approvato cose che dopo risultano “un po’ diverse”.

Poi ci sono le approvazioni per “compiacere”, quelle che si deliberano, sempre liberamente, perché si sa che quello è il desiderio del team, ed è importante che ci siano in quanto determinano guadagni utili per l’istituzione.

Il tutto sempre in  forma di libertà apparente.

Già in questo bel quadro la premessa non trova più spazio. Poi ci sono gli sviluppi, perché nel  famoso team ognuno ha la sua funzione, e una qualsiasi interferenza viene considerata un’intrusione inopportuna ed è mal accettata, poiché viene vissuta come intromissione, forse si arriva a temere che possa minare il soggettivo prestigio, allora va ostacolata.

Ed ecco che ci può essere sempre qualcuno che ha curiosità e interessi personali che approfondisce in maniera individuale ed autonoma, investendo in prima persona su se stesso, qualcuno a cui tutto questo modo di concepire la scuola non piace, perché tende a guardare ai fatti più che alla forma, perché non si importa di bonus e riconoscimenti elemosinati dall’alto, perché non approva la scuola della gara a chi è più bravo, o meglio, a chi si mette in mostra. A volte questo qualcuno può pensare di condividere quello che ha imparato, del resto sarebbe un miglioramento per tutti.

Lo può fare, ma si deve adeguare: deve seguire i tempi e i modi stabiliti dal team.

Ma se questo qualcuno proprio non si adegua a questo stato di cose e magari è disposto a condividere informazioni in modo informale, investendo magari il suo tempo senza nulla pretendere, e se magari trova colleghi interessati, disposti anch’essi ad apprendere, sempre senza nulla pretendere (ore di aggiornamento svolte o attestati), tutto questo può infastidire il team, perché ognuno ha un ruolo e nessuno deve interferire.

Così diventa tutta una guerra dove ci sono tutti i burattini, e poi l’élite di burattinai, che tengono i fili, a cui spetta occuparsi di ogni aspetto, perché questo ruolo comporta riconoscimenti, punteggi, bonus. E allora la scuola è sì luogo dove migliorare le proprie capacità, in cui bisogna imparare a esprimere se stessi,  il luogo in cui fare esperienza, ma non è libertà. Scuola è educazione, scuola è istruzione, ma scuola, la scuola di oggi, non è affatto condivisione. Come si può pensare di formare cittadini in un luogo così compromesso?

E in un luogo così, coloro che progrediscono a volte non sono poi davvero i migliori, perché non di rado, i migliori, in questo stato di cose, scelgono di mettono nell’angolo e finiscono per non avere nessun riconoscimento ufficiale. È la fine delle sane motivazioni a progredire.

In conclusione, così come per gli alunni standardizzare tutto diventa demotivante per alcuni, lo stesso succede tra i docenti, tra i quali, gli unici motivati, e chissà se per mero interesse, cultura personale e piacere della conoscenza o per altri motivi connessi al ruolo, sono quelli che fanno parte del team d’élite, e soltanto pochi altri che riescono a rimanere saldamente legati al vero senso della funzione docente.

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