Maria Teresa Sica

ORTOGRAFIA GRAMMATICA SINTASSI

Alla fine del rigo

La sillaba, cioè una lettera (vocale) o l’insieme di lettere che si pronunciano con una sola emissione di voce (stra-da, o-ro), non si divide mai.

Una consonante tra due vocali, fa sillaba con la vocale che segue (au-ro-ra)

Le doppie e il gruppo cq si separano (pal-la, tac-que)

Le consonanti l m n r si separano dalle consonanti che le seguono (el-mo, tem-pio, den-tro, or-to)

La s si lega sempre alla consonante che la segue (s impura), tranne quando è seguita da un’altra s (ri-sve-glio, ros-sa)

Dittongo (2 vocali che si pronunciano con una sola emissione di voce: pio-ve) e Trittongo (3 vocali che si pronunciano con una sola emissione di voce: fi-gliuo-lo) non si separano mai

iato (opposto del dittongo, le 2 vocali si pronunciano con 2 colpi di voce:o-ce-a-no) si separa e la prima vocale si lega alla consonante precedente.

Una vocale, un dittongo o un trittongo, posti tra due consonanti, fanno sillaba con la consonante o il gruppo di consonanti che li precede se tale gruppo può essere l’inizio di una parola (fi-gliuo-lo, pio-ve, i-stri-ce: str = inizio di strada, com-ple-to: mpl si separa poiché nessuna parola comincia con mpl, resta il gruppo pl = planetario)

Quando si va da capo non è corretto separare 2 vocali e andare a capo cominciando con la vocale, perciò lo iato, alla fine del rigo sarà   ocea-

no

 

Raddoppiamento

Le consonanti si raddoppiano quando parlando si pronunciano con forza: loggia, fosso

gion, bil, zio, zia, zie non si raddoppiano mai. (stagione, terribile, stazione)

Eccezioni: loggione (nome alterato di loggia) e le parole che derivano da altre che già hanno la doppia z: tappezziamo (da tappezzare) realizziamo (da realizzare)

La q si raddoppia solo in soqquadro, nelle altre parole il suo raddoppiamento è cq (nacque)

I verbi che all’infinito terminano in –cere raddoppiano la c dinanzi ai dittonghi io e ia

  1. nell’indicativo presente alla 1 pers sing e 3 pers plu: io giaccio, essi giacciono
  2. nel congiuntivo presente alla 1 2 3 pers sing e 3 pers plu: che io taccia, che tu taccia, che egli taccia, che essi tacciano
  3. nell’imperativo presente alle 3 pers sing e plu: piaccia egli, piacciano essi

eccezione: il verbo cuocere, che non raddoppia mai la c

le parolette a, e, o, su, se, so, ra, da, fra, sovra, sopra, contra, raddoppiano la consonante semplice della parola cui sono unite: a notare = annotare, e bene = ebbene, o vero = ovvero, su porre = supporre, se bene = sebbene, so porto = sopporto, ra cogliere = raccogliere, da per tutto = dappertutto, fra tempo = frattempo, sopra fino = sopraffino, sovra porre = sovrapporre, contra dire = contraddire

 

    mp e mb

Davanti a p e b (bilabiali) si usa sempre m (bilabiale) e mai n: tromba, lampo

Eccezioni: benpensante, panpepato

 

   gna gne gno gnu

Sempre senza la i: ragno, lavagna, ognuno

Eccezioni: compagnia e compagnie; i verbi in -are quando la i si trova nella desinenza del verbo: bagn-are = bagn-iamo, disegn-are = che voi disegn-iate

 

   c e q

Davanti ad uo si usa sempre c: cuore

Eccezioni: liquore, quotidiano, equo, iniquo, quoto, quoziente, quotare, quotazione, pedissequo, aliquota, obliquo, e qualche altra.

Davanti a ue ua e ui si usa sempre q: questo, quale, aquila

Eccezioni: cospicue, arcuato, innocua, vacua, cospicua, cui, taccuino, circuire, circuito, acuire, cospicui

 

    sce o scie

Sce non vuole mai la i: fascetta

Eccezioni: scie (pl di scia); usciere, scienza, coscienza e i loro derivati

 

   Suoni duro (gutturale) e dolce (palatale) di c e g

Duro: ca che chi co cu        ga ghe ghi go gu

Dolce: cia ce ci cio ciu       gia ge gi gio giu

I verbi in –ciare e –giare la cui radice termina per i (cominci-are, mangi-are) conservano il suono dolce, e perdono la i solo se questa è presente nella desinenza o dinanzi ad e: cominci-o, cominc-i, mangi-o, mang-erete;

i verbi in –care e –gare (gioc-are, pesc-are) conservano il suono duro e prendono h  davanti alle desinenze in e ed in i: gioc-o, gioch-i, preg-o, pregh-erete.

 

    cie e gie o ce e ge

I nomi che al singolare terminano con cia e gia con la i accentata al plurale hanno cie e gie: farmacia –farmacie

I nomi che al singolare terminano con cia e gia con la i senza accento al plurale hanno

cie e gie se c e g sono preceduti da vocale: valigia – valigie,

ce e ge se c e g sono precedute da consonante o raddoppiate: mancia – mance, pioggia – piogge

Eccezione: reggia – reggie (per non essere confuso con la forma verbale regge, da reggere); il pl di provincia è province, alcuni usano però ancora provincie

 

  ca co cu  ga go gu

Non vogliono mai h

 

   Articoli

Distinti in determinativi (il lo la i gli le) ed indeterminativi (un uno una), precedono i nomi.

Determinativi:

Dinanzi alle parole maschili che cominciano con vocale, z, gn, ps, s impura(s + consonante) si usa lo – gli: lo zoccolo, gli zoccoli, lo gnomo, lo spigolo

prima delle parole maschili che cominciano con le altre consonanti si usa il – i

prima delle parole femminili si usa la – le

indeterminativi:

Dinanzi alle parole maschili che cominciano con z, gn, ps, s impura(s + consonante) si usa uno                 

prima delle parole maschili che cominciano con le altre consonanti o con una vocale si usa un                     

prima delle parole femminili si usa una (che si apostrofa solo dinanzi alle parole che cominciano per vocale)

 

  bei, begli – quei, quegli

begli e quegli avanti a vocale, z, gn, ps, s impura (le parole che vogliono l’articolo gli)

bei e quei dinanzi ai nomi che vogliono l’articolo i (tutte le altre consonanti)

 

  uso dell’h

o, ai, a, anno, vogliono h quando sono voci del verbo avere (possedere)

 

  apostrofo o elisione

sostituisce la vocale elisa; generalmente si elide la vocale finale di una parola quando la successiva comincia per vocale, però non si può elidere una vocale accentata: quello albero = quell’albero, ci invitò = c’invitò, merce da importare: da non si elide

gli e i suoi composti (dagli, degli…)si possono apostrofare solo avanti alle parole che iniziano con i: gl’insetti, gli alberi

tal, qual, suol, vuol non si apostrofano mai: qual è, vuol avere, suol essere

una, nessuna, ciascuna, qualcuna, buona si apostrofano solo davanti alle parole femminili che cominciano con vocale: un’amica (per il maschile esiste un già troncato)

ci si apostrofa solo avanti alle parole che cominciano con e ed i: cero, c’ingannò, ci udì

le ed i suoi composti non si apostrofano avanti alle parole che hanno il plurale uguale al singolare: la età – le età, quella unità – quelle unità, della unità – delle ingenuità; si possono apostrofare dinanzi a tutte le altre parole che cominciano con vocale (anche se a volte suonano male, perciò non si usa: l’erbe, l’eliche…meglio non apostrofarlo…)

 

   apòcope

talvolta si sopprime l’ultima vocale o sillaba di una parola; in questi casi si usa l’apostrofo per distinguere queste parole da altre simili ma con significato diverso: imperativi dei verbi dare, fare, dire, stare, andare (da’ fa’ di’ sta’ e va’) nelle parole poco (po’) modo (mo’) piede (pie’) ed altre

 

   troncamento

si usa per rendere il discorso più fluido; consiste nel togliere l’ultima sillaba o la vocale finale avanti ad una parola che comincia con la consonante. Le parole tronche non vogliono l’apostrofo: soffre di mal di mare, è un bel gioco

nessuna parola si tronca dinanzi a z, gn, ps, s impura: grande spettacolo, bello zero

 

  accento

sulle parole tronche, cioè quelle in cui la voce si posa sull’ultima sillaba: città, scriverò…

sui monosillabi che finiscono con un dittongo: più, già, ciò, può, giù

sui monosillabi che, senza accento, hanno un significato diverso: lì avv. di luogo (esiste li pronome) là avv di luogo (esiste la art e pron), dì giorno (di preposizione), dà verbo dare: egli dà (da preposizione), sè  = se stesso pronome (se congiunzione), tè bevanda ( te pronome), nè negazione (ne pronome), è verbo (e congiunzione), chè abbreviazione di perchè (che congiunzione o pronome), sì  = sissignore, così (si pronome)

non si accentano: fu, tre, re, va, sta, fa, vo, sto, fo, qui, qua.

I numerali che finiscono con –tre vogliono l’accento: centotrè

 

  lo e l’ho –  l’hai – la e l’ha – l’anno e l’hanno

Lo e la oltre ad essere articoli possono essere anche pronomi (quando si riferiscono ad un nome: tu hai il libro io lo compro, se ti serve una penna la compro); l’ho l’hai, l’ha, l’hanno sono pronome-elisione-verbo in genere il verbo è ausiliare di un tempo composto (ho visto la tazza e l’ho presa, il giornale dove l’hai messo? L’ha detto papà, l’hanno premiata); l’anno si usa quando ci si riferisce al nome “anno” (l’anno scolastico, l’anno accademico)

 

  glielo – gliela – gliel’ho – gliel’hai – gliel’ha – gliel’hanno

si usa glielo o gliela (che sono pronomi personali) se significa “lo a lui/lei” o “la a lui/lei” (il pacco glielo portò il facchino –lo portò a lui/lei-, la cartella gliela raccolse Anna –la raccolse a lui/lei);  gliel’ho – gliel’hai – gliel’ha – gliel’hanno si usano quando i pronomi personali glielo e gliela si legano al verbo avere, che quindi farà da ausiliare per un tempo composto (il libro gliel’ho dato = glielo ho dato, gliel’hai dato = glielo hai dato, la rosa gliel’ha data = gliela ha data, gliel’hanno data = gliela hanno data)

 

  c’è – v’è – s’è – m’è – t’è – n’è – c’era – v’era – s’era – m’era – t’era – n’era

   ce – ve – se – me – te – ne – cera – vera – sera – mera – tera – nera

si usano apostrofati quando significano “essere”: ci è (esserci, ci sta), vi è (esservi), si è (essersi)…. (ce ne siamo andati perché c’è = ci è – troppo sole, s’era = si era – fatto sera, chi c’era con te nel giardino?)

 

  Plurali

I nomi che al singolare terminano in –ie al plurale non cambiano: la serie – le serie

Eccezioni: moglie, superficie

 

  Esclamazioni

L’h si mette alla fine o tra 2 vocali: oh! Ohè! Ahimè!

 

   Nomi

Indicano persone, animali, cose, idee, stati d’animo, azioni o fatti; tutte le parti del discorso (aggettivi, pronomi, verbi, avverbi, congiunzioni, articoli) possono esercitare la funzione di nome, cioè possono essere sostantivate.

Secondo l’aspetto morfologico possono essere maschili o femminili, singolari o plurali; ogni parola ha una radice ed una desinenza, la quale dà indicazioni sul numero e sul genere:

solitamente la desinenza –a  o –essa indica nomi femm e al plurale si trasforma in –e -esse, esistono però nomi masch in –a che al plur prendono la –i (poeta/poeti);

i nomi in –o, masch o femm, al plur prendono la –i;

i nomi in –e, masch o femm, al plu prendono la –i.

Riguardo i cambiamenti di genere nei nomi mobili (cosiddetti perché cambiano la desinenza nella trasformazione di genere) il masch –o  o –a diventa –a o -essa al femm;

il masch –e diventa –a -essa o –e al femm;

alcuni nomi che al maschile finiscono in –tore, al femm trasformano la desinenza in –trice o –a;

esistono però nomi indipendenti (padre/madre), nomi di genere comune (il preside, la preside) e nomi di genere promiscuo (il leopardo maschio/ il leopardo femmina).

Esiste poi il maschile generico, utilizzato per indicare rappresentanti di una specie al di là delle differenze di sesso (l’uomo – uomini e donne – è dotato di ragione).

Esistono nomi con la stessa radice che hanno forma maschile e femminile, ma sono falsi cambiamenti di genere, ossia le due parole hanno significati diversi: cerchio (circonferenza)/ cerchia (di amici), gambo (di un fiore)/ gamba(umana), palmo (della mano)/ palma(albero),….

 

Secondo il significato si distinguono:

nomi comuni: indicano persone o cose in senso generico, come elementi di una stessa categoria

nomi propri: indicano, per distinguerlo, un individuo di una specie o categoria

nomi individuali: designano una sola entità, indicandola con il suo nome proprio o con il nome comune della categoria cui appartiene

nomi collettivi: parole che al singolare indicano un insieme (squadriglia, gregge)

nomi concreti: si riferiscono a persone, animali o cose esistenti realmente (nonna, cane, casa)

nomi astratti: riferiti a cose che non esistono realmente ma esprimono idee (favola, attenzione)

 

Secondo la forma abbiamo:

nomi primitivi: non hanno origine da altre parole (bosco)

nomi derivati: derivano da parole esistenti (boscaiolo)

nomi alterati: modificano il significato di una parola: diminutivo (ragazzino), accrescitivo (ragazzone), vezzeggiativo (ragazzetto),      dispregiativo (ragazzaccio)

nomi composti: formati dall’unione di due parole: cassaforte.

 

Attenzione al plurale dei nomi composti:

nome + nome = modificano la desinenza del secondo nome se entrambe le parole sono dello stesso genere: il maremoto/ i maremoti; la desinenza plurale viene assunta dal primo elemento se le due parole sono di genere diverso: i pescispada, eccezioni: boccaporti, ferrovie, banconote, la cassapanca = le cassepanche o le cassapanche; crocevia, fondovalle, cruciverba restano invariati;

capo + nome= i composti il cui elemento “capo” significa “colui che è a capo” modificano la desinenza di capo: capisquadra, alcuni però possono modificare anche il secondo elemento: capicuochi, capicomici, capitreni, capiredattori, capimastri; se capo significa “colei che è a capo di…” il plurale non varia, tranne se capo ha funzione di attributo: le capocuoche;

nome + aggettivo = modificano la desinenza di entrambi gli elementi: le casseforti, eccezioni: il palcoscenico/ i palcoscenici, il pianoforte/ i pianoforti/ il camposanto/i camposanti, il pellerossa presenta le 2 forme i pellerossa, i pellirosse;

aggettivo + nome = se il nome composto è maschile cambia la desinenza del secondo elemento: il bassorilievo/i bassorilievi, eccezioni: altiforni, purosangue o purosangue, mezzibusti; se è femminile cambiano entrambi: la mezzaluna/le mezzelune, eccezioni: falsarighe, piattaforme;

aggettivo + aggettivo = cambia solo la desinenza del secondo elemento: sordomuti;

verbo + nome = se il nome è singolare maschile, il nome diventa plurale: passaporti, eccezioni: parasole, perdigiorno, spartitraffico, tritaghiaccio, che restano invariati; se il nome è singolare femminile resta invariato: i tritacarne, eccezioni: le parole composte con il nome “mano”: gli asciugamani; se il nome è plurale resta invariato: i portaombrelli;

verbo + verbo = restano invariati: i dormiveglia;

verbo + avverbio =  non cambiano: i posapiano;

preposizione o avverbio + nome = i maschili volgono al plurale il nome: i contrattacchi, eccezioni: senzatetto, fuoricorso; se il nome è femminile la forma non cambia: i doposcuola, eccezioni: sottovesti, soprattasse e tutti i composti con sopra;

avverbio + aggettivo = cambia la desinenza dell’aggettivo: sempreverdi;

avverbio + verbo = restano invariati: benestare;

nome+preposizione+nome = non c’è una norma precisa: i fichidindia, i pomodori (ma va bene anche pomidoro e pomidori)

 

Esistono nomi che hanno il plurale in 2 forme: al maschile ed al femminile, sono i nomi sovrabbondanti: anello (gli anelli: cerchietti di metallo, le anella: dei rettili o i riccioli dei capelli), asse (gli assi: travicelli di ferro ai cui estremi girano le ruote, le assi: legno segato), boa (i boa: serpenti, le boe: galleggianti), braccio (i bracci: della croce, della bilancia, del fiume, delle cose sporgenti, le braccia: dell’uomo o misura di lunghezza), budello (i budelli: corridoi o vicoli lunghi e stretti, le budella: intestini), calcagno (i calcagni: dei piedi, delle calze, le calcagna: “mi stava alle calcagna), cervello (i cervelli: le intelligenze, le cervella: materia cerebrale), ciglio (i cigli: margini, le ciglia: degli occhi), corno (i corni: strumenti a fiato, le corna: degli animali), cuoio (i cuoi: delle scarpe, le cuoia: tirare le cuoia), dito (i diti: considerati separatamente, le dita (in senso collettivo), filo (i fili: spago, erba, le fila: di tessuto, di formaggio, di una congiura), fondamento (i fondamenti: le basi del sapere, della vita morale, le fondamenta: di un edificio), frutto (i frutti: attaccati alla pianta o in senso figurato, le frutta: staccati dall’albero, da mangiare), fuso (i fusi:arnesi per filare o fusi orari, le fusa:il gatto fa le fusa), gesto (i gesti: movimenti, le gesta: azioni insigni), grido (i gridi: voci degli animali, le grida: voci umane), labbro (i labbri: di una ferita, di un vaso, degli animali, le labbra: della bocca umana), legno (i legni: pezzi di legno da lavorare, le legna: da ardere), lenzuolo ( i lenzuoli: presi individualmente, le lenzuola: appaiate o in riferimento al letto), membro (i membri: di una società o del corpo considerati isolati, le membra: del corpo umano, di una nazione), muro (i muri: di una casa, le mura: di una città, fortezza), osso (gli ossi: di un animale spolpato, della frutta, le ossa: del corpo umano), riso (i risi: qualità di quelli commestibili, le risa: ridere), urlo (gli urli: degli animali, le urla: delle persone). Si può dire i ginocchi – le ginocchia, gli orecchi – le orecchie.

 

  Aggettivi

qualificativi: indicano una qualità del nome cui si riferiscono, possono precederlo o seguirlo e concordano con esso in genere e numero. L’aggqualificativo ha 3 gradi:

  1. positivo: indica una qualità senza confronto (il coniglio è pauroso)
  2. comparativo: esprime una paragone di maggioranza (il lupo è più vorace della volpe), di minoranza (la tartaruga è meno veloce del riccio), di uguaglianza (il mulo è testardo come l’asino)
  3. superlativo: esprime la qualità di massimo grado, può essere relativo (la giraffa è il più alto di tutti gli animali), assoluto (il leone è fortissimo)

dimostrativi: indicano in modo preciso ciò di cui si parla, sono questo, quello, codesto, stesso, medesimo tale, quale

possessivi: esprimono possesso, indicano a chi appartiene ciò che si nomina, sono: mio, tuo, suo, nostro, vostro loro, proprio, altrui

numerali: indicano il numero preciso dei nomi cui si riferiscono, si distinguono in cardinali (uno, due…) ed ordinali (primo, secondo…)

indefiniti: si riferiscono a nomi indicandone una quantità indeterminata, sono: alcuno, taluno, nessuno, molto, poco, troppo, parecchio, altro, tutto, certo, qualsiasi, qualunque, ogni, qualche, tanto…

 

 Pronomi

i pronomi sostituiscono un nome, esistono

pronomi personali: fanno le veci di un nome di persona, i più comuni sono: 1s io me mi, 2s tu te ti, 3s egli esso lui lo /ella essa lei la /gli le sé si ne, 1p noi ce ci, 2p voi ve vi, 3p essi esse loro /li le si sé ne

pronomi dimostrativi: quando gli aggettivi dimostrativi non accompagnano il nome ma lo sostituiscono, sono pronomi dimostrativi, sono questo, quello, codesto, stesso, medesimo tale, quale, ciò, simile, costui, costei…

pronomi possessivi: quando gli aggettivi possessivi non accompagnano il nome ma lo sostituiscono

pronomi indefiniti: quando gli aggettivi indefiniti non accompagnano il nome ma lo sostituiscono, sono qualcuno, ognuno, ciascuno, nessuno, chiunque, qualunque, qualsiasi, qualche, nulla, niente, molto, poco, tanto, parecchio, altro, certo, tutto…

pronomi relativi: oltre a fare le veci del nome mettono in relazione due pensieri, sono: che, chi, cui, il quale, la quale

 

Verbi

indicano le azioni compiute, i tempi fondamentali sono passato, presente, futuro

il presente ha un solo tempo; il passato ne ha 5: imperfetto, passato remoto, passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto; il futuro ne ha 2: futuro semplice, futuro anteriore.

Il tempo può essere semplice, quando è formato da una sola voce verbale (presente, imperfetto, passato remoto, futuro semplice) o composto, se è formato da due o più voci verbali (passato prossimo, trapassato prossimo, trapassato remoto, futuro anteriore). La formazione dei tempi composti avviene con l’uso dei verbi ausiliari: essere e avere.

I modi dei verbi sono 7: 4 finiti e 3 indefiniti. I modi finiti sono indicativo (certezza), congiuntivo (possibilità di azione),  condizionale (incertezza dell’azione), imperativo (un comando); sono indefiniti il modo infinito, il participio, il gerundio. Tutti i verbi, secondo la desinenza dell’infinito presente, sono riuniti in gruppi detti coniugazioni:  1 –are, 2 –ere, 3 –ire; per coniugarli bisogna variare la desinenza secondo il modo, il tempo, la persona e il numero. Essere ed avere hanno coniugazioni proprie.

Esistono verbi irregolari, che si discostano dalla coniugazione di regola poiché cambiano sia la desinenza, sia la radice, oppure mancano di alcune voci verbali. (andare, dare, stare, fare, bere, cogliere, dovere, friggere, leggere, mordere, parere, potere, sapere, scrivere, vedere, vivere, dire, apparire, assalire, salire, udire, uscire, venire, ed altri)

Esistono verbi impersonali: piovere, tuonare, nevicare… comunque tutti i verbi si possono usare in modo impersonale facendoli precedere dal pronome indefinito si: si dice in giro che…

Esistono i verbi servili, che sono quelli che accompagnano un verbo all’infinito e con esso formano un predicato, sono volere, potere e dovere: voglio partire, posso uscire, devo lavorare. Questi verbi usati da soli vogliono l’ausiliare avere, se invece sono usati con un verbo all’infinito prendono l’ausiliare richiesto dal verbo che accompagnano: ho voluto/ ho voluto dormire (dormire si accompagna con avere/ sono dovuto partire (partire si accompagna con essere)

Esistono verbi sovrabbondanti che, pur avendo la stessa radice differiscono nella desinenza, perciò appartengono a due coniugazioni; alcuni conservano il significato altri prendono un significato diverso: compi-ere/comp-ire, rattrist-are/rattrist-ire – arross-are: far diventare rosso/arross-ire: diventare rosso, assord-are: strordire/assord-ire:diventare sordo, fall-are:sbagliare/fall-ire:andare in fallimento, imbianc-are:fare bianco, imbiancare una stanza/imbianch-ire:diventare bianco, incanutire.

Il verbo può essere transitivo quando regge il complemento oggetto (quello che risponde alla domanda chi- che cosa?: il sole illumina la terra) ed intransitivo quando esprime un’azione che rimane nel soggetto che agisce (io corro; questi verbi non possono avere né il complemento oggetto, né il complemento di agente.). I verbi transitivi possono essere: attivi quando esprimono un’azione fatta dal soggetto (io guardo le stelle), passivi se esprimono un’azione subita dal soggetto (le stelle sono guardate da me), riflessivi se l’azione ricade su soggetto (io mi guardo)

 

  Avverbi

aggiungono un’indicazione al verbo, sono

di modo o maniera: volentieri, bene, male, facilmente…

di tempo: ora, adesso, dopo, prima, oggi, domani…

di luogo: qui, qua, lì, là, quaggiù…

di quantità: più, meno, abbastanza, molto…

di dubbio: forse, chissà, probabilmente…

di negazione: no, non, neppure, nemmeno, affatto…

di affermazione: sì, sicuramente, certo, sicuro…

 

Preposizioni

mettono in relazione varie parti della frase, sono

semplici: di a da in con su per tra fra

articolate: formate da una preposizione semplice con un articolo determinativo

 

Congiunzioni

congiungono due frasi o due elementi di una stessa frase, sono

semplici: formate da una sola parola (e o ma se che però…)

composte: formate dall’unione di due parole (benché, perché, poiché, qualora, eppure, siccome…)

 

 discorso diretto ed indiretto

diretto: riferisce con fedeltà le parole testuali pronunciate da un interlocutore; si chiude tra le virgolette o le lineette quasi sempre precedute dai due punti

indiretto: il dialogo viene riferito come se parlasse una terza persona che ne riporta solo il senso e non le parole esatte.

 

Punteggiatura

serve a regolare il senso di ciò che si scrive o si legge

punto: pausa lunga, si mette alla fine di un pensiero compiuto

virgola: pausa breve, si mette per separare parti simili di una proposizione non congiunte da e oppure da o (il bue, il cavallo, la mucca e la pecora sono animali); per separare le proposizioni di un periodo (lui riesce bene nello studio, ma talvolta è un po’ superficiale); per separare le frasi incisive (il gioco all’aperto, quando non è eccessivo, giova alla salute); nel discorso diretto dopo il nome a cui si rivolge la parola (Bobi, vieni qui); dopo gli avverbi (no, non posso assolutamente); prima delle congiunzioni (vorrei giocare, ma non posso)

due punti: indicano un distacco nel discorso, si mettono con le virgolette e la lettera maiuscola nel discorso diretto, senza virgolette e senza lettera maiuscola prima di fare un elenco o una specificazione (in questo caso sostituiscono perché, cioè)

punto e virgola: pausa maggiore della virgola, si usa fra due proposizioni

punto esclamativo e interrogativo: seguono rispettivamente esclamazioni o domande e sono seguiti dalla lettera maiuscola

altri segni di punteggiatura sono

le virgolette: si usano per mettere in rilievo una o più parole, per racchiudere titoli, per citare frasi estratte da testi

i puntini sospensivi: indicano un’interruzione che preannuncia una parola spiritosa o solenne

il trattino: si usa nelle parole composte

 

   proposizione e periodo

la proposizione è un seguito ordinato di parole con le quali si manifesta un pensiero (la mamma cuce), la più breve è composta da soggetto ed azione, essa poi può essere ampliata con attributi, apposizioni e complementi utili ad esprimere il pensiero in maniera più completa; in una proposizione c’è un solo verbo ( la mia mamma cuce la camicia rossa dello zio Gianni). Il periodo è l’insieme di due o più proposizioni collegate tra loro, che esprimono un pensiero completo (il Tevere nasce dal monte Fumaiolo, attraversa l’Umbria, il Lazio, dove passa per Roma, e si versa nel mar Tirreno). Esistono periodi con coordinazione, cioè formati da frasi che hanno lo stesso peso ed hanno senso compiuto anche da sole (sono in giardino e gioco con il cane) e periodi con subordinazione, cioè formati da una frase reggente (una proposizione principale che ha senso compiuto anche da sola) ed una o più frasi subordinate (proposizioni dipendenti, dette espansioni, che da sole non hanno senso compiuto)

 

  analisi logica

la proposizione è composta da soggetto (persona o cosa riferite all’azione, talvolta è sottinteso) e predicato (azione). La costruzione della proposizione può essere diretta: sogg, pred, complementi o inversa: quando gli elementi non seguono l’ordine predetto (dal monte Fumaiolo nasce il Tevere).

Il predicato può essere verbale : costituito da un verbo (il verbo essere è predicato verbale: 1usato da solo, cioè se significa esistere, stare, vivere, abitare…: Dio è stato, è, sarà = Dio : sogg, è stato: pred. verb, è: pred verb, sarà: pred verb; 2 accompagnato con le particelle ci vi che formano un tutto unico con il verbo: c’è nessuno = c’è pred verb, nessuno: soggetto)

nominale: verbo essere – detto “copula” – + nome o aggettivo, participio o verbo sostantivato – detto “nome del predicato” o “parte nominale del predicato”: tu sei un eroe = tu: sogg, sei: copula, un eroe:nome del pred; vivere è lottare: vivere:sogg, è: copula, lottare:parte nominale.

Alcuni verbi che possono svolgere la funzione di copula, cioè possono accompagnare nomi, aggettivi o verbi sostantivati, vengono detti verbi copulativi: parere, sembrare, apparire, rimanere, giacere, diventare… : il libro sembrava nuovo = il libro: sogg, sembrava: verbo copulativo, nuovo: parte nominale.

Nei verbi intransitivi e passivi, il verbo essere non funge da copula ma da ausiliare: la partita è stata vinta = la partita: sogg, è stata vinta: predverb.

L’attributo è un aggettivo che si aggiunge al sogg, al pred nominale ed ai vari complementi

L’apposizione è un nome che precisa un altro nome (il cugino Gastone)

I complementi completano il senso della proposizione, sono diretti (solo il compl oggetto, su cui cade direttamente l’azione del soggetto) ed indiretti (tutti gli altri).

Complemento oggetto: è la persona o la cosa che riceve direttamente l’azione del soggetto, è retto da verbi transitivi attivi, risponde alla domanda chi? Che cosa?; talvolta è preceduto dalle preposizioni de + articoli: cerco dei libri.

Complemento di agente: indica la persona, l’animale o la cosa da cui è compiuta l’azione espressa dal verbo passivo, risponde alla domanda da chi? Da che cosa? È preceduto dalla preposizione da: fui punto da una vespa.

Complemento di specificazione: sostantivo che determina il concetto più ampio di un altro sostantivo, risponde alla domanda di chi? Di che cosa? È preceduto dalle preposizioni di o di + articoli: l’occhio è lo specchio dell’anima; contemplo i fiore e ne (di essi) aspiro il profumo.

Complemento di termine: indica la persona o la cosa su cui va a terminare l’azione o l’idea espressa dal verbo, dal nome o dall’aggettivo, risponde alla domanda a chi? A che cosa? A vantaggio di chi? A danno di chi?, è preceduto dalle preposizioni a, per: il fumo nuoce alla salute.

Complementi di luogo:

1 stato in luogo, indica il luogo in cui uno si trova, risponde alla domanda dove? In quale luogo?

2 moto a luogo, indica il luogo verso cui qualcuno si muove, domanda dove? Verso dove?

3 moto per luogo, indica il luogo attraverso il quale si passa, domanda per dove? Attraverso dove?

4 moto da luogo, indica il luogo da cui si proviene, domanda da dove?

Complementi di tempo:

1 determinato, indica la durata di un’azione, domanda quando? In quale tempo?

2 continuato, indica la durata di un’azione, domanda per quanto tempo?

Complementi di modo e mezzo:

1 di modo o maniera, indica il modo in cui si compie un’azione, domanda in che modo? Come?

2 di compagnia, indica le persone con cui si compie un’azione, domanda con chi?

3 di mezzo, indica il mezzo utile a svolgere un’azione, domanda con che cosa? Per mezzo di che cosa?

Complementi di causa e di fine, si riferiscono a sostantivi che indicano la causa o lo scopo di un’azione (è in ritardo per la pioggia/ ci alleniamo per la partita).

 

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